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Ancora su Schwazer
Data: 14/05/2016Autore: emmegi
Argomento: .... varie dalla stampa ....
Torno ad interessarmi del caso Schwazer. Non lo faccio solamente perchè per molti anni impegnato con atleti in questa bellissima specialità e quindi direttamente colpito da questo caso di doping, ma anche per una discussione molto più ampia che investe tutto il mondo dello sport, sempre più spettacolare, sempre più ricco e quindi soggetto tentazioni. Barare non è bello e mi unisco senz'altro a quanti hanno vissuto questa vicenda, che ha toccato il nostro ambiente sportivo con molta rabbia, motivata dal fatto che dedichiamo la nostra vita con passione e correttezza all'atletica. Non mi sono piaciuti gli attacchi a Schwazer venuti da alcuni atleti della nostra nazionale, e bene ha fatto recentemente il presidente Giomi nelle sue dichiarazioni alla stampa nazionale, nelle quali ha espresso rammarico per i toni usati.
Penso che bisogna essere sempre cauti nelle dichiarazioni e soprattutto dare un'altra possibilità a chi ha sbagliato, le regole sportive dicono questo.
L'atleta ha scelto la strada più difficile per riabilitarsi, facendosi allenare addirittura da chi conduce da anni una guerra al doping, ed il risultato ottenuto a Roma, con un percorso di ben 40 controlli antidoping, molti spontanei e pagati direttamente da lui, confermano il suo talento, dimostrato già ampiamente prima dello stop del 2012.
Schwazer non è stato particolarmente carino nelle dichiarazioni prima del 2012 provocando spesso polemiche, ed anche subito dopo la squalifica ha costruito un castello di bugie che lo hanno portato
ad una certa impopolarità nell'ambiente dell'atletica ma la sua riabilitazione mi sembra un bel messaggio per i giovani, che spesso sbagliano, ma che dagli errori debbono trarre stimolo a crescere ed essere migliori.
Di seguito 3 articoli che reputo interessanti di Repubblica, Enrico Sisti, Luca Monaco e due commenti sulle pagine dei portali; se avete pazienza e voglia leggeteli - peppemisuraca
La Repubblica.
La tensione degli ultimi giorni si è sciolta. Anche Sandro Donati, fautore e mentore della "resurrezione", sorride finalmente dopo notti di insonnia. Dicevano, i soliti detrattori, che da tecnico del mezzofondo non avrebbe saputo allenare un marciatore. Smentiti: ora gioisce per l'oro mondiale del suo pupillo. Gran parte del merito è suo, della sua preparazione, della sua determinazione e puntigliosa cura dei particolari. In allenamento e in gara. Spiega: "Ho cercato di contenere lo sforzo di Alex nella gara di Coppa. Gli ho detto di risparmiarsi nel finale. Per accelerare il recupero. Dopo un breve periodo di "scarico" tornerà subito ad allenarsi". Il marciatore azzurro sarà in Alto Adige una settimana o poco più: allenamenti leggeri perché "Il suo fisico ha bisogno di lavorare sempre e il riposo totale lo danneggia", spiega il tecnico. Quindi tornerà di nuovo a Roma con Donati, pronto a seguirlo come da mesi con la bicicletta. Una vita praticamente in simbiosi. La marcia di Schwazer è determinatissima. E le ambizioni nella 50 km, dopo Roma, si fanno più concrete. Per questo parteciperà alla gara di La Coruna il 28 maggio prossimo. Anche per testarsi di fronte ad altri avversari. Dove può arrivare il marciatore redento?
Mondiali marcia, Schwazer: "Ai moralisti dico: col doping ci ho rimesso io"
A Roma, sostengono i critici più puntigliosi, non c'è stata una grande concorrenza. Non c'erano i cinesi più forti. Ed è vero. Sandro Damilano, passato da tempo sulla danarosa panchina cinese ha giocato a nascondersi a Roma: non ha schierato la prima linea. Anche da lui sono venute polemiche strumentali alla vigilia. Il ritorno di Schwazer toglie spazio ai suoi "soldatini" e abbassa l'assicella degli emolumenti: uno in più potenzialmente davanti.
Le critiche però sono attenuate dal secondo posto del vicecampione mondiale e olimpico, l'australiano Tallent. E dal tempo dell'azzurro: 3h 39', un crono di tutto rispetto, fra i primi al mondo nella stagione. Centrato con superiorità e disinvoltura assolute. Schwazer ora è un atleta recuperato. Forte e, ciò che conta di più, pulito. E' stato controllato minuziosamente e lo sarà sempre più. Nei test (una quarantina cui vanno sommati i 12 di Iaaf e Wada) messi a punto dal professor D'Ottavio e realizzati dal prof. Ronci eminente ematologo dell'ospedale San Giovanni di Roma figurano analisi puntigliose come la valutazione dell'eritropoietina plasmatica, che non fa parte del protocollo Wada. E' il contributo volontario di Schwazer alla lotta al doping. Anche economico, perché quei testi li ha pagati e li paga di tasca sua. Ed è la dimostrazione di come possa essere messo a punto un sistema di controllo efficace anche senza arrivare ai complessi e costosi esami che caratterizzano l'antidoping mondiale. "Non è poco - sottolinea Donati - A Roma aveva avversari modesti? Non credo. A Roma non c'è stato confronto.
Atletica, rinascita Schwazer: trionfa nella 50 km ai mondiali di marcia
Ma credo che con avversari più agguerriti Alex si sarebbe esaltato ancora di più. Ha nelle gambe il ritmo da record del mondo". Difficilmente il tecnico romano sbaglia quando si sbilancia. Rio non è lontana, e lo sport nostrano ritrova felicemente
un talento che probabilmente si sarebbe irrimediabilmente perso. "A Rio non sarà affatto facile - dice ancora Donati - La 50 olimpica è un obbiettivo che fa gola a molti. Ci sarà più concorrenza: il francese Diniz, titolare del record del mondo, lo slovacco Toth oro ai mondiali di Pechino 2015 ; i cinesi che a Roma non hanno schierato la formazione più forte. Ma con la determinazione di Alex nessun traguardo è precluso".
La denuncia dello psicologo: "L'avevano riempito di psicofarmaci"
Maurizio Coletti, il presidente di Itaca, professore di Terapia familiare all'Istituto europeo di formazione e consulenza sistemica, è stato chiamato dall'allenatore Sandro Donati a far parte della squadra di specialisti che ha preparato il ritorno alle gare dell'atleta
di LUCA MONACO
L'abbraccio a fine gara tra Schwazer e Donati (ansa) ROMA - "L'avevano riempito di psicofarmaci, Alex pensava di essere depresso, ma durante l'ultimo anno ha imparato a trarre forza dai momenti di difficoltà ed è rinato". È una vittoria umana, prima di tutto, quella che Schwazer si è concesso domenica ai mondiali di Roma. E non è un caso se tra le prime persone che il marciatore azzurro è corso ad abbracciare dopo aver tagliato il traguardo nello stadio "Nando Martellini", ci sia stato proprio lo psicologo Maurizio Coletti. Il presidente di Itaca, professore di Terapia familiare all'Istituto europeo di formazione e consulenza sistemica, è stato chiamato dall'allenatore Sandro Donati a far parte della squadra di specialisti che ha preparato il ritorno alle gare dell'atleta.
Il rapporto tra i due inizia in salita nel febbraio dello scorso anno ed evolve fino a trasformarsi quasi in un'amicizia. "All'inizio però non è stato semplice - racconta Coletti - quando mi chiamò il mio amico Donati e mi disse che Schwazer era depresso stentai a crederci, mi sembrava impossibile per un campione come lui. Ma accettai di incontrarlo e Alex mise subito le cose in chiaro: mi disse che non credeva alle terapie fatte di parole. Cosi ci salutammo". Dopo 15 giorni Coletti riceve una seconda chiamata: Schwazer aveva contratto una leggera infezione che l'aveva bloccato negli allenamenti ed era entrato nel panico. "Era molto preoccupato - ricorda ancora lo psicologo - non riusciva ad accettare che pur essendo un grandissimo campione potesse avere dei piccoli cali fisici, come tutti gli esseri umani. Il primo impegno è stato quello di togliergli l'etichetta di depresso. Lui si considerava tale, senza accettare che poteva essere normale sentirsi giù dopo la squalifica e tutto quello che ne era conseguito. Ma chiamarla depressione per me era improprio". Con l'aiuto della psichiatra, Tiziana Melfi, il marciatore inizia a scalare le dosi degli antidepressivi che gli erano stati prescritti in precedenza da altri professionisti fino a liberarsene, ad aprile.
La primavera segna l'inizio della rinascita. "Alex vedeva che in allenamento andava forte e questo lo faceva sentire bene - dice Coletti - ma aveva dei momenti di down improvvisi, legati anche solo a una sensazione. Un leggerissimo dolore passeggero a un muscolo, ad esempio, era in grado di preoccuparlo enormemente. Lentamente però è riuscito ad accettare il fatto di essere un uomo, soggetto alle difficoltà della vita, ma capace di affrontarle e superarle". Un altro punto cruciale della consulenza psicologia fornita da Coletti è stata la cura del rapporto tra atleta e allenatore. "Hanno entrambi due caratteri forti - rileva il professore - all'inizio per paura delle reazioni altrui evitavano di dirsi ciò che non funzionava, visto che si fidavano di me abbiamo usato il tempo dei colloqui come uno spazio franco dove tutto era consentito senza che nessuno si offendesse e questo ha migliorato molto il dialogo tra i due".
Con il passare dei mesi Schwazer continua a crescere. A intessere relazioni con il quartiere romano medio borghese di Montesacro, doveva vive e si allena, lontano dai campi federali della più benestante Roma-Nord, nei quali gli è precluso l'ingresso per via della squalifica. "Ricordo che a ottobre, durante una prova su strada, la gente si affacciò ad applaudirlo alle finestre: un quartiere intero tifava per lui. È stato emozionante", esclama Coletti. Soddisfacente poi vederlo reagire con assoluta freddezza quando apprende la notizia che la richiesta di riduzione di due mesi sulla squalifica è stata rigettata. "Alex non l'ha recepita come un torto - assicura il professore - e non si è mai lamentato né arrabbiato".
Il metro di valutazione dello stato emotivo del campione passa anche per i messaggi su WhatsApp che Schwazer ama scambiarsi spesso con lo psicologo. "I miei colleghi forse rabbrividiranno - ironizza Coletti - ma dalle sue risposte riuscivo a monitorare l'umore. Lui ama l'ironia e se mi rispondeva scherzando, ero sicuro che stava bene". Come sabato, il giorno prima della gara, quando Coletti, appassionato di rugby e non molto atletico, scrive: "Domani ci sarò, correrò gli ultimi 500 metri al tuo fianco". La risposta: "No, domani devi fare il rugbista, se c'è un avversario molto forte lo devi placcare". Non è stato necessario. Schwazer è tornato più forte di prima.
Ex dopati tornano, vincono, ma l'ombra non si cancella.
L'atletica è piena di ritorni e così anche il ciclismo (basterebbe il solo Contador). Ci sono casi nel tennis. Un filo rosso segue come una coda infuocata la confusione tra lecito, sanzione, illecito, sanzione inadeguata, e unisce tutte le discipline, dalle più ricche e alle più povere
di ENRICO SISTI
(ansa) ROMA - Quanti sono tornati e hanno rivinto. Tanti. Ma te li dimentichi. Sono quasi troppi. Quanti hanno continuato a guardarli con sospetto, cercando sul loro petto il marchio a fuoco della lettera scarlatta, della colpa che puritanamente non si estingue. Troppi anche questi. L'atletica è piena di ritorni dall'inferno, e così anche il ciclismo (basterebbe il solo Contador). Ci sono casi nel tennis. Un filo rosso segue come una coda infuocata la confusione tra lecito, sanzione, illecito, sanzione inadeguata, e unisce tutte le discipline, dalle più ricche e alle più povere, sino a quelle invisibili o quelle che ti chiedi: ma davvero si dopano? Il bridge, per esempio.
L'ombra del dubbio, l'ombra di uno scomodo, sconveniente passato resta malgrado le scuse e il legittimo diritto al riscatto che nessuno nega ma che non sempre basta per diradare le nuvole. L'errore commesso dove tutto dovrebbe essere di cristallina correttezza è una nebbia densa e atroce che spacca in due le opinioni del mondo. Come certi sport che perdonano e condannano per le stesse mancanze (i 2 anni alla Hingis per cocaina contro la pacca sulla spalla a Gasquet). Cilic si prese 9 mesi per nikethamide (uno stimolante del sistema nervoso) ma la pena fu retroattiva e lui andò a vincere lo U.S Open. Difformità. Poi c'è chi pensa che chi si è drogato una volta continuerà a farlo per sempre, magari migliorando la sostanza. Una volta prese, le brutte abitudini sono dure a morire. Di Gatlin, lo scorso anno, hanno detto: "Non può fare meglio a 33 anni di quanto facesse a 26! Si prenderà dell'altro...". Battute che spiegano. Cattive ma eloquenti. Complice il suo libro, in cui fece piazza pulita delle ipocrisie e dei pregiudizi che inquinano l'atletica, l'inglese Dwain Chambers non è più riuscito a farsi perdonare, né a correre abbastanza forte (era uno specialista dei 60 metri). Il terrore, per quanto a volte ben dissimulato, che qualcuno possa insistere col trattamento privilegiato (nei tuoi confronti) e trattarti pur sempre come un appestato, è dietro l'angolo. E qualcuno non riesce a orientarsi. Torna e non combina più niente. Quando Marion Jones uscì dal carcere che l'aveva ospitata per sei mesi per aver mentito a un tribunale (era legata al caso Balco) non ci pensò nemmeno a risalire la china. Provò a buttarsi nel basket. Molti spariscono prima venire intercettati (Montgomery, che era il marito della Jones, è finito in carcere per spaccio, Kenteris e la Thanou sono scappati ai controlli in motocicletta prima di Atene 2004).
Sono soprattutto le relazioni umane, fra atleta e atleta, fra atleta e federazione, fra atleta e allenatore, che si guastano. E' soprattutto la convinzione in se stessi che può mutare nella (seconda) vita di chi si rimette in carreggiata dopo aver sbagliato, una, due volte. Bravo Schwazer a trovare Donati e intelligente Donati a capire come e dove intervenire intuendo che dietro i dolorosi e colpevoli fatti c'era ancora un potenziale campione. Altri meno fortunati brancolano senza aiuti, sognano una fata turchina, un allenatore che creda in loro. Ma non se ne trovano tanti. Tyson Gay, anche lui rientrato da una squalifica, prima di fermarsi aveva invertito i ruoli: si faceva allenare da un tecnico finito in carcere per distrazione di fondi universitari! Quando uscì il tecnico, per poco non ci finì l'atleta...
Raccontava Justin Gatlin che appena tornato in pista dopo la lunga assenza ("star fuori dalle gare equivale a una pena detentiva") lo trattavano come se fosse un untore: "I grandi meeting mi dicevano no, qualcuno mi attaccava il telefono in faccia". Doveva contentarsi di correre in Estonia, in Finlandia, nell'ex Repubbliche sovietiche, aggrappandosi a 1000 dollari di gettone. E poi esiste anche, nascosta, la paura che la scienza possa un giorno tornare a sbugiardarti, o a mettere in pericolo le tue successive prestazioni, perché magari si scopre con sempre più verosimiglianza che certi farmaci rimangono nel tempo, non ossidano l'organismo bensì lo trasformano. Qualche tempo fa, il professore di fisiologia norvegese Kristen Gunderson dell'Università di Oslo studiò l'effetto degli steroidi sui muscoli dei topi. Ebbene, essendo la biologia della crescita muscolare identica fra uomini e topi ammise: "Queste sostanze innescano una miccia nelle miofibrille alterando per sempre le modalità della crescita della massa. Questi effetti possono essere o durare per decadi o essere definitivi. Certo non possiamo limitarci a due o quattro anni, come vorrebbe farci credere le durate delle sanzioni agli atleti che ne fanno uso". E questo soltanto per quanto concerne ciò che è stato, è e sarà rintracciabile dall'attuale anti-doping (sul non rintracciabile si possono spendere solo parole vane). "Anche dopo la squalifica, gli ex dopati hanno qualcosa in più, hanno muscoli più flessuosi e tendini più resistenti", disse Filippo Magnini, parlando in generale e, in particolare, del cinese Ning Zetao, oro mondiale a Kazan 2015 nei 100 sl, fermato un anno nel 2011 per steroidi.
Lo sport combatte il suo demone ma ne rimane avvinto. Chi ha barato può difendersi attaccando: "Sfido tutti ad ammettere che almeno una volta nella vita non hanno pensato di doparsi". Troppo facile e soprattutto offensivo. La parte oscura dell'efficienza, quella che coltivi giorno dopo giorno come fosse il tuo orticello privato, cui nessun altro ha accesso all'infuori di te e di qualche sordido, zelante e magari strapagato consigliere, è una condizione così seducente che non capisci più se sei tu che ti dopi o sei tu che dopandoti diventi un altro. Ami e odi quello che fai. Schwazer ha spiegato alla perfezione questo stato: ha raccontato di essersi sentito sdoppiato, quando ricorreva alla chimica criminale. Disse allora: "Per doparti devi avere le p...e". Sdoppiati, gli atleti che tornato dopo una squalifica per doping, in qualche modo rimangono. Un po' sono quelli di prima ma al tempo stesso lottano disperatamente per staccarsi da quell'immagine. Vogliono, debbono credere di essere usciti dalla loro personalissima bolgia. Bisogna avere gli attributi anche per sfuggire all'ombra che t'insegue e che ha mille facce. Anni fa l'atletica aveva preso in considerazione l'ipotesi di congelare, non tanto il sangue, quanto la carriera dei dopati andati a sentenza: "Con sei mesi di squalifica o più, per loro niente più Olimpiadi o Mondiali". Un ritorno a metà che appagherebbe chi, come l'ex tecnico di Schwazer Damilano, sostiene da tempo un inasprimento delle sanzioni. Ma come nell'anti-doping, anche nelle altre regole il governo internazionale traballa, dice una cosa e poi la smentisce, oppure non trova accordo per intensificare la lotta al doping prima e dopo il suo rinvenimento nell'organismo degli atleti. La prova è che alcune pratiche sono legali in un paese e illegali nel paese confinante (pensiamo alla camera ipobarica).
Di solito i "tornati" non sono tutti bravi al punto da ripresentarsi competitivi. Qualcuno qualcosa perde. Dipende dalla testa. Dipende dalla lunghezza della sospensione, dalle tracce emotive che l'evento lascia, o se continuano a gareggiare con la spada di Damocle che gli pende sulla testa. Al meeting di Losanna, lo scorso anno, al via sui 100 si presentarono Gatlin, Powell, Gay, Rodgers, Collins. Tutti più o meno avevano avuto guai con la giustizia sportiva. Dipende anche dalla forza con la quale (è il caso di Gatlin e Schwazer) sono stati attaccati e dalla forza, contrapposta, con la quale si sono difesi per evitare il baratro. Gatlin si porta dietro due squalifiche, due zavorre che gli hanno suggerito di rinunciare al progetto, cui stava lavorando con Trevor Graham, il suo coach di allora, ora squalificato a vita, a correre i 100 metri in 41 appoggi, preferendo concentrarsi sulla frequenza, anziché sull'ampiezza. Il che in parte depone in suo favore: che carattere, che capacità di valutazione istantanea del momento. E che furbizia! Ma dall'altro fa riflettere: come può uno ricadere nella stessa botola e non subire una squalifica a vita, che invece si applica per i tecnici o i medici (ma poi a Londra 2012 riapparve Victor Conte, l'inventore del Laboratorio Balco e del mitico ormone sintetico chiamato "The Clear")?
Ben Johnson, forse con Lance Armstrong, uno dei personaggi simbolo del doping nello sport (con l'unica differenza che uno è stato beccato e l'altro di fatto mai), non ebbe la forza di tornare dopo la squalifica, la cancellazione del record e la restituzione delle medaglie. Provò ma tutto quello che ottenne fu di sentirsi "lento come un elefante zoppo" e di farsi ribeccare. Su di lui pesò la certezza (perché di questo era convinto) di aver subito un torto, di essere stato solo un capro espiatorio: "Mi dopai per essere all'altezza degli altri che facevano altrettanto". In pratica era la vittima di una cospirazione mirata a coprire Lewis e Christie. Christie poi avrebbe parzialmente "rimediato" facendosi trovare positivo a sua volta, senza grande lucidità. Lewis, dicono le gole profonde, è sempre stato protetto. La leggenda del salto in alto Javier Sotomayor venne trovato positivo alla cocaina dopo aver vinto i Giochi Panamericani nel '99. Va ai Giochi di Sydney 2000 ma ormai non aveva più motivazioni, praticamente non era nemmeno più un atleta. Quasi gli dispiacque quando Fidel Castro in persona lo difese sostenendo che le accuse erano soltanto un modo per colpire l'immagine di Cuba nel mondo. Il quattrocentista americano LaShawn Merritt venne squalificato per due anni nel 2009. Sostenne di aver assunto un farmaco che gli avrebbe potuto ingrandire il pene: "La squalifica che riceverò non potrà mai superare l'imbarazzo e l'umiliazione che provo. Sono diventato oggetto di barzellette tra i miei compagni". E' tornato più forte di prima. Nel 2001 l'argentino Guillermo Coria venne sospeso per 2 anni (nandrolone). Nel 2004 arrivò in finale a Roland Garros. C'è anche un doping comico: il marciatore spagnolo Daniel Plaza vince la 20 km olimpica a Barcellona. Quattro anni dopo risulta positivo al testosterone: "E' colpa di una maratona...!". Un marciatore che fa una maratona? Sì ma di sesso orale con la moglie incinta. Gli danno due anni. Nel 2006 lo scagionano. Ma ormai è vecchio e si fa una risata. Venne scagionata anche Merlene Ottey, ma anche il suo ritorno era vincolato all'età avanzata (aveva quasi 40 anni). Ben diverso il destino della martellista russa Tatjana Lysenko: dopo la squalifica di due anni, torna e vince l'oro olimpico a Londra e due titoli mondiali, a Daegu e a Mosca. Per fermarla sono arrivate altre indiscrezioni: che un "ricalcolo" dei valori di una tasca del suo sangue del 2005 indicherebbero altro doping. Ormai troppo vecchio però. Ciò però dimostrerebbe che a Oslo forse hanno ragione (e Magnini con loro). Certe sostanze restano nel corpo e nel sangue molto più a lungo di una squalifica. E allora, aspettando di non avere alcuna notizia del doping del futuro, che nessuno troverà, come la mettiamo?
COMMENTO SU FACEBOOK DI (NIZO)
C'è una regola nella vita che dice che chi sbaglia ha il diritto di rimediare o di avere una occasione per riabilitar si, chi è dato in galera chi ha commesso reati di vario tipo, quindi dovrebbe essere così anche per lo sport, però c'è un distinguo per lo sport per quello che rappresenta per i giovani e per tutti gli appassionati, BARARE non e leale perché ha privato di una probabile vittoria qualche atleta che è pulito e quindi a mio avviso nel caso di Swarz non ho dubbi non doveva essere più ammesso alle competizioni, troppo facile andare in televisione a piangere. E se non si riesce ad evitare il DOPING lo legalizziamo e siamo già posto .....ovviamente è una provocazione
COMMENTO SU FACEBOOK DI (SIMBAD 70)
Chi sbaglia ha il diritto di rimediare e un principio assoluto non può avere dei distinguo. Se ammettiamo che lo sportivo, siccome è un esempio per i giovani, non può riscattarsi, lo stesso varrebbe per qualunque personaggio pubblico. Un politico che ruba non è un pessimo esempio per il comune cittadino che rubare sia tutto sommato lecito? (quindi evadere le tasse, accettare "regalini" in cambio di favori, non rispettare il codice della strada ecc.). Allora dovremmo cominciare a distinguere chi ha il diritto di riscattarsi e chi no. E chi lo decide? L'unico parametro condiviso che abbiamo è quello della legge, e Schwazer ha scontato la sua pena ed è riuscito a rimettersi in carreggiata. Forse anche il riscatto può essere un esempio per i giovani (quanti ce ne sono che hanno già toccato il fondo...e che magari possono trovare il loro riscatto?)