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L'è una roba sporca
Data: 10/02/2017Autore: eugenio capodacqua
Argomento: Ancora su Schwazer
Eugenio Capodacqua (La Repubblica 10 febbraio 2017)
La tesi era scontata: doping volontario. Le motivazioni della sentenza del Tas sulla seconda positività di Alex Schwazer altrettanto. Siamo in un campo, quello delle regole sportive e in un meccanismo in cui l’autoreferenza è l’aspetto meno peggio (il che è tutto dire, c'è anche la corruzione...) e i conti devono sempre tornare. Così passa la conferma senza appello alla squalifica per otto anni per il marciatore altoatesino. Si sarebbe potuto salvare se avesse cercato di giustificare la presenza di quella infinitesimale quantità di metaboliti del testosterone sostenendo un’assunzione involontaria? I regolamenti lo avrebbero consentito, ma difficilmente sarebbe stata accettata. E poi, se uno ritiene di essere innocente perché dovrebbe mentire per salvarsi?
Sentenza finalmente motivata (dopo quasi sei mesi...), dunque, pur confermando la lunga serie di anomalie nel corso della vicenda: dall’insolita data del test, il primo gennaio, pianificata con settimane d’anticipo (in coincidenza con la deposizione di Schwazer nel processo a Bolzano); alla facile identificabilità del campione dell’atleta; alle evidenti pecche nella catena di custodia riconosciute dagli stessi giudici del Tas; all’altrettanto evidente mancato rispetto degli standard, pure riconosciuto, ma non abbastanza da invalidare i risultati del test sportivo. Così come altre importanti anomalie. Le regole sono quelle, sono controfirmate dagli atleti all’atto del tesseramento. Dunque vanno accettate e non discusse "in corsa". E amen. Quello che vale la pena di sottolineare è come in un settore così delicato, su di un tema da cui dipende il futuro di uomini ed atleti, atleti e dirigenti sportivi accettino regole definite dagli stessi giudici “fortemente generiche”, dunque non cogenti. Sarebbe come se in un processo penale la violazione delle procedure durante le indagini non potesse comportare una invalidazione delle prove a carico. Lasciamo anche perdere le minacce denunciate da Donati che pure i giudici ritengono possibili. Ma può essere accettabile la motivazione che il ritardo di due mesi nelle analisi si debba sic et simpliciter al sistema intasato di lavoro? Può essere accettabile che la “confusione nel referto” sia un motivo valido per spiegare l’inserimento nel sistema del famigerato test del 1° gennaio DOPO altri test posteriori? Può la sorte di un atleta essere appesa a referti confusi? E soprattutto si può essere condannati per via di referti confusi? Evidentemente si può. Ma viene da chiedersi che regole siano mai queste. E perché vengano così supinamente accettate. Ora che le bocce sono definitivamente ferme sul piano sportivo (altro discorso è sul piano penale, si vedrà…) se ne potrebbe e dovrebbe parlare. Invece resta tutto fermo. Nessuno reagisce.
Se ad atleti e dirigenti sta bene essere tenuti sul filo del rasoio di regole ballerine e ininfluenti per non dire interpretabili a discrezione, va bene così. Sono loro che di fronte ad una sentenza come quella di Schwazer dovrebbero ribellarsi. E pretendere che il proprio futuro non sia appeso a circostanze occasionali, per non dire, peggio, umori, interpretazioni, giochi di parte. Tanto più che sulla corruzione generale del sistema ci sono prove provatissime, a partire dal doping russo coperto dai massimi dirigenti sportivi internazionali. Dicono i giudici del Tas che la tesi del complotto non è provata; che gli indizi non bastano. Ci sarebbe un test, quello del Dna, che potrebbe dimostrare sia la definitiva colpevolezza che la manipolazione. Dunque valido per accusa e difesa. Per una parola definitiva. Avrebbe dovuto svolgersi in una sede più che qualificata e neutra, quella dei Carabinieri del Ris di Parma. Lo ha richiesto una rogatoria internazionale. Ma le provette sono rimaste a Colonia. Lo sport risponde picche perfino a legittime e legalissime richieste della magistratura ordinaria, opponendo infiniti ostacoli. Resta un’ultima domanda: perché?